venerdì 13 novembre 2015

Addio, amata luna!

La comprensione che prende avvio dalla sensibilità, dalla ricettività invece che dall'intenzione semantica e dalla sua eccitata pulsionalità pone le condizioni per fare esperienza dell'intero. Esperienza vuol dire esperienza dell'intero e intero vuol dire ciò di cui si fa esperienza. In questo senso l'intero è concreto, implica cioè l'esperienza che, in quanto pratica, esclude il controllo. Infatti il fenomeno esperito è composto sia da ciò che di esso appare, sia da ciò che di esso si nasconde e tra i due estremi ricomprende infinite sfumature di apparizione. La completezza non è afferrabile in una logica dichiarativa e formale (Goedel). Nella logica dell'esperienza, invece, la completezza è un evento cui si è subordinati, un evento che afferra invece di essere afferrato. L'esperienza dell'intero, ovvero l'intero che fa, che decide dell'esperienza stessa, non è mai un intero tutto in luce perché è qualcosa in cui si sta dentro. L'intero è un interno. Ha lati oscuri, logiche oniriche. I punti sulla superficie della sua sfera sono i tasselli della coscienza. La coscienza è dunque un mosaico di logiche diverse, di diverse ragioni, di infiniti mondi possibili e le sue tessere sono di carne, non di vetro. Il suo è un tessuto di carne che fa presto a diventare macelleria di guerra. Basta illudersi di poter dominare l'intero, di poterne possedere quell'esperienza da cui, piuttosto, siamo posseduti. L'intero ci possiede all'improvviso, ci acciuffa come una sua preda. Per non sentirlo si rinuncia persino alla luna. Questa estetica da terza guerra mondiale trova insopportabile quel suo lato oscuro che amavamo tanto. Vorrebbe che la luna fosse uguale al sole. Ma anche il sole ha le sue macchie.

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